Dall’Ispettoria Lombarda “Sacra Famiglia” – Italia
Riflessioni sulla circolare n. 991 “Irradiare la gioia della vocazione”
Carissima Madre,
in questo tempo di emergenza sentiamo forte la comunione che lega ciascuna di noi con tutto l’Istituto e con il mondo intero; sentiamo forte il suo essere centro di unità.
Grazie per il suo essere anfora che continuamente riversa su di noi il vino buono della gioia della vocazione perché noi possiamo accenderla nel cuore di tanti giovani.
Le offriamo le riflessioni che sono scaturite dalle sue domande presenti nella circolare 991:
Ho la consapevolezza che sono chiamata ad essere “persona-anfora” disponibile a riversare nell’ambiente la gioia della vocazione nella gratuità e nello spirito del Magnificat, perché amata immensamente da Dio? (cf C 4 e 8)
Siamo consapevoli di dover essere persone-anfora per irradiare la gioia sugli altri. La gioia però non viene da noi, abbiamo bisogno di attingerla alla sorgente dell’Amore.
Per questo il nostro primo impegno è quello di essere aperte ad accogliere l’Amore di Dio, crescendo nella consapevolezza di essere figli amati del Padre, attraverso la cura della relazione con Lui.
La preghiera, i Sacramenti e in particolare la Parola di Dio meditata e custodita nel cuore, come Maria, formano in noi la mentalità e i sentimenti del Figlio di Dio, ci fanno sue discepole e ci introducono nella sua intimità. Solo se rimaniamo in Lui, la sua vita circola in noi e noi diventiamo capaci di amare, diventiamo persone-anfora che sanno riversare sugli altri la gioia.
Siamo certe del dono e della gratuità della sua chiamata e anche della povertà della nostra risposta: per questo preghiamo con la Vergine Maria il Magnificat, il canto di chi è povero e grato per ogni dono ricevuto.
Sono cosciente che la devo donare prima di tutto ai più vicini: le sorelle, i giovani e ogni altra persona che attende gesti di umanità, di carità fraterna in un atteggiamento di dialogo aperto, di fiducia, di rispetto e stima verso la diversità di cui ognuna è portatrice? (cf C 50)
Essere persone-anfora significa essere attenti agli altri, avere lo sguardo come quello di Gesù, capace di vedere e di cogliere anche le più piccole necessità di chi ci sta attorno, essere quindi persone protese verso il prossimo nell’atteggiamento del servizio e del dono. Papa Francesco direbbe: persone “in uscita”, capaci di anteporre gli altri a se stesse. Tutto questo però con naturalezza e semplicità e nell’ordinarietà del quotidiano.
Avere lo sguardo di Gesù significa guardare l’altro con grande rispetto e stima, perché lo sguardo di Gesù è come quello del Padre che vede sempre il bene nei suoi figli, al di là dei loro errori. Avere questo sguardo rende capaci di relazioni autentiche e fraterne.
Questo non è facile, perché l’egoismo e l’orgoglio, l’individualismo e l’invidia, l’attivismo sono come erbe cattive sempre risorgenti nel terreno del nostro cuore e ci costringono a lottare continuamente per vincerli. Ci vuole molta umiltà e pazienza, vigilanza e anche determinazione e naturalmente il ricorso alla grazia del Signore.
Come possiamo cercare insieme di renderci felici reciprocamente nella vita quotidiana?
Possiamo renderci reciprocamente felici nella nostra vita quotidiana rafforzando la comunione tra noi, accettandoci nelle nostre diversità, dicendoci con bontà ciò di cui dobbiamo correggerci, pregando l’una per l’altra e cercando ciascuna di custodire la gioia e di coltivarla interiormente per far circolare pensieri e parole di speranza.
Abbiamo bisogno di riprendere a cantare insieme, ascoltarci per conoscerci meglio, condividere le gioie e le pene di ciascuna, abbiamo bisogno di avere il coraggio di impostare il ritmo delle nostre giornate più a misura di persona.
Che cosa vuole dirci oggi Gesù per essere capaci di restare nella gioia della chiamata e contagiarla ai giovani?
Per restare nella gioia della chiamata dobbiamo coltivare ogni giorno il desiderio di Dio, altrimenti la nostra vita si trascina nell’inerzia delle abitudini quotidiane e nella rassegnazione, e non è più un segno profetico.
Gesù ci richiama le sue parole: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”: la vocazione è una scelta sua, a cui noi abbiamo risposto fidandoci di Lui. Dobbiamo coltivare con gratitudine il ricordo del suo sguardo posato su di noi ed essere certe che la sua fedeltà è per sempre.
Soprattutto in questo tempo Gesù ci dice di andare oltre le paure, le debolezze, le fragilità…, perché Lui, il Risorto, cammina accanto a noi: è Lui a condurre la storia, non i nostri sforzi. A noi resta solo il fare “tutto quello che Lui ci dirà”.
L’abbandono e la piena fiducia in Lui sono la garanzia per restare nella gioia profonda della chiamata. E sono anche la condizione per contagiarla agli altri, perché se facciamo la sua volontà, noi dimoriamo in Lui e Lui in noi, e la sua luce si espande naturalmente.
La gioia della propria vocazione ha un alto valore attrattivo, ma diventa un messaggio vocazionale ancora più eloquente quando rivela il Vangelo della carità vissuta nella fraternità.
Grazie, Madre! Le vogliamo bene
