Contemplando una madre di nome Maria
Sr Maria Rosaria De Ninno, in questo suo ultimo libro, appena uscito per Tau editrice, ci offre un percorso di contemplazione mariano attraverso 9 icone, per lo più “scritte” da lei stessa e donate all’Ispettoria Romana “San Giovanni Bosco”. Quella che rappresenta il miracolo delle Nozze di Cana ha accompagnato i momenti di preghiera del Capitolo Ispettoriale.
Le abbiamo posto alcune domande.
Che cosa ti ha spinto a scrivere un libro su Maria?
A monte c’è un’esperienza forte che ha segnato la mia vita. Fino a quel momento amavo il nostro bel nome di Figlie di Maria Ausiliatrice, ma non andavo molto oltre: per me ero sua figlia da sempre e come tale la amavo, ma niente più. In quell’occasione percepii quanto invece lei prendesse sul serio quel titolo. No, non era un semplice nome identificativo: ero sua figlia in modo particolarissimo e questo mi segnava profondamente e in qualche modo cambiava il mio rapportarmi con lei rendendolo più consapevole e maturo. Penetravo maggiormente il senso di quel “essere figlia”, ma anche quel suo “essermi madre”.
Sentivo il bisogno di comunicare la bellezza che mi si stava schiudendo dinanzi e che andava ben oltre il semplice sentimento. Pensai di “scrivere” alcune icone che cogliessero i tratti salienti del suo essere e poi di proporne una lettura che, scavando nel substrato biblico teologico liturgico proprio di ogni icona, aprisse un varco nella conoscenza di questa madre unica, attraverso l’esperienza contemplativa.
Penso che l’originalità di questo piccolo contributo sia proprio qui: non è semplicemente uno studio, anche se lo presuppone, ma uno sguardo contemplativo che fa del dato biblico-teologico il trampolino di lancio per immergersi nell’insondabile mistero che è ogni persona, e tanto più questa Donna profondamente umana e tuttavia segnata in modo particolarissimo dal trascendente.
Attraverso questo libro che cosa vorresti condividere con i lettori?
L’amore mariano credo sia ancora presente nel popolo cristiano, ma spesso sfuma nel sentimento e in un ricorso a Maria quasi magico. Anche l’immagine che se ne ha sconfina o nel vedere in lei unicamente la donna in tutto uguale a noi, o nel farne una semidea totalmente estranea al nostro vissuto. Il testo, nella sua voluta semplicità, intende offrire un solido ma accessibile supporto biblico teologico liturgico che aiuti a cogliere in lei la realizzazione piena di ciò che ciascuno di noi è chiamato ad essere. Maria ci dice: è possibile, e ce ne indica la via, anzi ci sostiene nel cammino.
Di lei, in particolare, vorrei trasmettere lo sguardo contemplativo che non distanzia anzi immerge nel quotidiano, permette di perforarlo per cogliervi i messaggi cifrati di Dio. Siamo abituati a relegare la contemplazione nei monasteri e a farla scivolare in esperienze pseudomistiche che creano fratture con la storia, mentre in Maria scopriamo esattamente il contrario. Il suo vissuto dice che tutti siamo chiamati a intessere con la realtà naturale umana e divina relazioni improntate alla contemplazione, perché il più sfugge alla sola percezione sensoriale.
Scrivere icone fa parte di proposte di cammini di preghiera. perché?
L’icona non è un metodo per introdurre alla preghiera: è preghiera che precede, accompagna segue la stessa “scrittura” dell’icona. E metto l’accento su quel “è”: non si tratta di due cose distinte. L’icona se non è intrisa di preghiera, se non la trasuda non è un’icona, ma un dipinto. La differenza tra arte religiosa, come quella di Michelangelo Raffaello ecc., e l’arte sacra tipica dell’icona sta qui. Un soggetto religioso lo può dipingere anche un non credente, un’icona no.
Ti dirò: l’iconografo non dice adesso prego perché devo scrivere un’icona: si trova in preghiera, cioè entra spontaneamente in un rapporto dialogico con quanto va emergendo sotto il pennello. Voglio confidarti una mia esperienza: se nel dispormi a scrivere un’icona non sono in pace con me stessa e con gli altri, o cedo alle sue provocazioni che mi denudano e mi lascio da essa pacificare o non riesco a lavorare.
Questo non vale solo per l’iconografo, ma anche per chi contempla l’icona.
La sua essenzialità permette un contatto profondo con il personaggio reso presente nell’icona che ti denuda, lascia emergere la tua verità, quella che cerchi di negare, e allora o fuggi o ti consegni lasciandoti cambiare. E la preghiera, non la ripetizione di formule, è questo incontro profondo e trasformante che non si realizza se non nella verità.
Nella tua esperienza di accompagnamento spirituale, quale proposta hai visto più efficace per avvicinare le persone alla preghiera, oggi?
La preghiera è un incontro personale che, di conseguenza, non può prescindere da ciò che sei. L’educazione alla preghiera ne deve tener conto e quindi adeguare le proposte a chi si ha davanti: non esiste un metodo univoco e infallibile. In qualunque situazione, tuttavia, vi sono dei presupposti indispensabili che si richiamano reciprocamente: l’ascolto e il silenzio.
Dobbiamo liberarci dall’idea che la preghiera parta da una nostra iniziativa. È in fondo questo presupposto che la riduce frequentemente a richiesta, fosse anche semplicemente di perdono.
La preghiera è una risposta a Dio che ci interpella, anche quando non ne siamo coscienti. È quella mozione interiore dello Spirito che urge dentro di noi e quando ci trova consenzienti esplode in lode, ringraziamento, benedizione. La stessa preghiera di intercessione e di richiesta, allora, si connota di fiducioso abbandono e diviene, anche senza che lo si espliciti, professione di fede in un Dio che ama chiamarsi “Misericordioso”.
Quindi una tappa indispensabile è quella dell’educazione all’ascolto, e non solo della Parola di Dio scritta nella Bibbia. Ma l’ascolto esige il silenzio sia esteriore che interiore, senza il quale è impossibile percepire “la voce di silenzio sottile” che ci interpella rivelandoci una presenza, come ad Elia. E qui il terzo essenziale elemento che rende possibile e qualifica la preghiera: la consapevolezza, se non sempre la percezione, di una Presenza.
È facile darla per scontata e immettersi nella preghiera senza attualizzare questa consapevolezza. E si svuota la preghiera della sua dimensione dialogica.
Nell’educazione alla preghiera, un posto certamente non secondario, anche per la sensibilità di oggi, occupa proprio il linguaggio iconico. Ne ho fatto esperienza anche con gruppi occasionali e che non avevano molta dimestichezza con la preghiera. Ma certamente le esperienze più forti le ho fatte con i gruppi con cui portavo avanti i corsi di scrittura orante dell’icona (così ho sempre definito i corsi di iconografia proprio per sottolineare l’essenziale dimensione orante che li connota).
L’icona parla anche all’uomo, al giovane di oggi, con l’immediatezza di un linguaggio che risulta estremamente attuale.
Maria Rosaria De Ninno, Figlia di Maria Ausiliatrice, diplomata in scienze religiose, laureata in Scienze dell’educazione, e iconografa, ha svolto e svolge la sua attività soprattutto nell’ambito della formazione, raggiungendo religiosi, catechisti, coppie, giovani mediante corsi, convegni, esercizi spirituali, interventi vari anche individualizzati.
Ha lavorato nell’ambito catechetico e del dialogo ecumenico all’USMI Nazionale. Ha insegnato Sacra Scrittura nella scuola di teologia per laici della Diocesi di Tivoli, nella sede dislocata di Subiaco.