FARMACO CONTRO LA SOLITUDINE?
Promuovere relazioni sociali all’interno di una comunità religiosa con persone anziane.
“Considerare l’intero processo della vita come un processo di nascita continua e non considerare ogni stadio come se fosse lo stadio finale. La maggior parte della gente muore prima di essere completamente nata. Creatività significa nascere prima di morire. È importante perciò conservare questa predisposizione a nascere ogni giorno.” (Erich Fromm)
È con questa citazione che Fromm mette in luce che non c’è un momento della vita in cui si comincia ad invecchiare: l’organismo cresce, evolve raggiunge la capacità produttiva e va incontro a progressive modificazioni che non si possono arrestare.
Non viviamo però questo periodo naturale che caratterizza ciascuna persona attribuendogli un accezione negativa ma accettiamo i cambiamenti e riprogrammiamo gli obiettivi personali e della quotidianità, cercando di costruire giorno dopo giorno un nuovo equilibrio psico-fisico.
La Comunità del Divino Amore, ospita suore salesiane anziane che presentano varie forme di decadimento cognitivo ma che grazie al loro credo salesiano che anima tutte loro riescono a dare un significato all’ esperienza di malattia contornata da tante emozioni che vivono quotidianamente. Molte di loro esprimono nei loro racconti che la malattia le ha colte all’improvviso ma che grazie alla preghiera comunitaria ricevono sostegno le une dalle altre e ciò non fa altro che accrescere la percezione di sé e rinnovare lo spirito di comunità. Colui che si trova in una situazione di fragilità che può essere fisica o psicologica acquista una visione più realistica della propria natura umana. Si accorge dei suoi limiti del proprio stato di bisogno tale da creare uno spiraglio dentro di sé che è pronto ad accogliere e ri- valorizzare la propria concezione di vita. Dunque lo stato di malattia di una persona anziana può divenire anche un’opportunità non solo per ri- esprimere ed approfondire ancora meglio la propria fede ma da la possibilità di sviluppare situazioni creative e creare nuovi equilibri emotivi. La casa delle suore è nata primariamente con l’obiettivo di tutelare la salute psico- fisica delle pazienti accompagnandole verso un fine vita che sia il meno traumatico possibile, grazie all’osservazione scrupolosa delle operatrici socio- assistenziali che tramite appositivi interventi medici assicurano uno stato di serenità alle ospiti presenti. All’interno della comunità residenziale sono presenti infatti, operatori sanitari con un’ infermiera specializzata che si occupa del monitoraggio delle terapie delle diverse pazienti. È chiaro che la cura delle persone con fragilità non deve limitarsi alla solo assunzione farmacologica perché è altrettanto vero che si possono utilizzare interventi socio- educativi che vanno a garantire il bisogno di autorealizzazione personale, e quello di socialità che si conforma con la partecipazione alla vita della collettività, anche svolgendo mansioni lavorative più ridimensionate o di volontariato. Uscire perciò, dalla logica malattia-farmaco, non guarigione e sconfitta, per passare alla cura centrata sulla persona tramite la relazione è stato il compito per il quale in qualità di volontaria sono stata chiamata ad adempiere. Curare la relazione educativa è stato ogni giorno la mia missione educativa come volontaria di un servizio assistenziale. Donare l’aiuto tramite l’ascolto empatico e la costruzione della relazione diventa un’ occasione di bene relazionale comune che si moltiplica sia per chi aiuta sia per chi è aiutato, poiché il suo effetto è di ritorno gratuito e compassionevole. Tutte le relazioni educative vissute durante i colloqui individuali , nelle passeggiate, nei momenti di ozio/ tempo disponibile, così come quelli delle attività, nella stanza così come nei luoghi comuni, permette di capire come sta la persona, anziana per motivarla quando cade in depressione, darle forza quando le forze mancano. L’accompagnamento deve precludere un ascolto attivo, una pazienza continua nel cercare di aiutare la persona a riscoprire se stessa aiutandola e motivandola. All’interno di questo scenario mi sono inserita vista la forte esigenza educativa di promuovere attività di animazione sociale che vadano a tirar fuori le abilità residue , al fine di contrastare vissuti di solitudine. Molto spesso nel cuore delle anziane fa capolino una domanda seria e pericolosa per le sue conseguenze, che se non ci si lavora preventivamente tramite azioni educative concrete non casuali ,che vanno non solo a sviluppare tutte le dimensioni di personalità ma anche che vanno a rispondere ai loro specifici bisogni individuali, possono portare a emozioni negative e a forme di ritiro sociale e autosvalutazione di sè: Servo ancora a qualcosa? Sono stanca di non fare niente? C’è ancora qualcuno a cui io interesso?
Inoltre è fortemente presente la paura e la sensazione di non essere più autosufficienti e padroni di sé. Il mio ruolo è stato quello di aiutare le suore anziane ad accettare da un lato in modo consapevole ciò che sta accadendo “dentro e fuori di loro”, non avendo un atteggiamento giudicante rispetto alle emozioni e pensieri da loro provate, ma svelare, valorizzare e riconoscere quelle che sono le loro potenzialità creative. La vecchiaia perciò può diventare un’età in cui si può ancora progredire, crescere, senza lasciarsi andare alla pigrizia, facendo tesoro di quella che è stata la propria lunga esperienza per programmare nuovamente il futuro; le suore anziane necessitano di un accompagnamento del volontario per ripensare a nuovo modo di riprogettarsi , un nuovo modo di vivere e un nuovo modo di “educarsi”. Gentle Care, Terapista Canadese, afferma a gran voce, di quanto la valutazione degli antecedenti specifici e delle conseguenze di ogni fragilità presente nella persona sia da osservare seguendo un approccio orientato al comportamento tramite un intervento psico sociale che si concentri più sull’ambiente fisico e sociale prendendo in considerazione la sfera affettiva relazionale.
Ciò che mi colpisce più da vicino è la loro richiesta di vicinanza e il bisogno di raccontarsi cercando una propria collocazione identitaria. La mia esperienza come volontaria abbraccia particolarmente la visione teorica del professionista, in quanto con le diverse suore ho progettato diverse attività ludiche dalla visione del film andando così a cogliere gli elementi presenti, in modo da tenere in allenamento da un lato, le capacità di memoria e rielaborazione dei dati ma tenendo anche presente l’aspetto emotivo. Molte di loro ho notato che avessero come bisogno intrinseco di rinnovare quelle che erano le sensazioni, i vissuti provati durante il loro arco di vita. Alla luce di ciò le attività che sono andata a proporre ad alcune suore partono dalle emozioni cioè far vivere loro, attraverso delle immagini che raffigurano paesaggi, oggetti a loro cari, persone, la possibilità di interpretare e reinterpretare continuamente gli eventi della propria vita, in modo da far trovare quel senso di nuovo, di trasformazione di sè. Questa attività si incentra sul promuovere generatività nell’invecchiamento, poiché si parte dalla presa di coscienza della fragilità/ disagio della persona anziana ma anche della sua attivazione di risorse a partire dalla sofferenza sperimentata. Il mondo emotivo, durante la fase della terza età, nella percezione parziale che le persone hanno rispetto al proprio corpo è un qualcosa che con il tempo risulta mancare. Nell’invecchiamento l’emozione maggiormente sperimentata è la sofferenza fisica che porta di conseguenza a uno stato di affaticamento psicologico , che è un’ esperienza potente la quale trapassa l’intero corpo con effetto di trasmissione di segnali che però non vengono molto spesso tradotti a livello comunicativo dall’ anziano stesso. Dunque il riconoscimento emozionale del vissuto negativo o positivo, e la possibilità di narrarlo all’interno di una situazione accogliente e di non giudizio possono cambiare nel corpo della persona anziana, l’intensità dell’esperienza attraverso un giusto distacco della stessa dato proprio dalla sua articolazione per quanto possibile in un’ ottica di racconto integrativo. La possibilità perciò di creare un laboratorio” di fotografie parlanti” dando voce ai sentimenti, desideri, paure, esprimere i vissuti personali indirettamente, attraverso la voce di immagini raffiguranti nelle foto da la possibilità di potersi esprimere con più immediatezza data la presenza di stimoli fisici oggettivi. Nel caso in cui la persona affetta da demenza sia in uno stadio più avanzato di patologia si chiede alla persona dopo avere fatto un’ attenta osservazione rispetto alle abilità che possiede di disegnare su un foglio bianco le sensazioni che suscita quella foto attraverso qualunque forma. Questo permette attraverso la creazione di qualcosa di continuare a raccontarsi e far vivere la propria identità dandole rispetto e dignità.
Nadia Guarini del Servizio Civile